domenica 7 maggio 2017

L'APPALTO E LA SOLIDARIETA' PASSIVA - QUALI TUTELE? (PARTE 1° di 4)

di IVO CIRACI - dottore commercialista e consulente del lavoro in Milano e Melegnano
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Premessa
La disciplina lavoristica degli appalti è stata oggetto, nel corso degli ultimi anni, di continue modifiche. La materia si concentra tradizionalmente tra le opportunità offerte dai procedimenti di esternalizzazione (elasticità di utilizzo del personale e assenza di vincoli contrattuali diretti) e, allo stesso tempo, gli stringenti vincoli giuridici connessi al fenomeno interpositorio (lo schema si presta ad assicurare al committente la concreta disponibilità di forza lavoro senza quella corrispondente assunzione di responsabilità che deriverebbe dalla titolarità dei rapporti di lavoro stessi).
Due, in particolare, sono i settori di disciplina (per quel che qui interessa[1]) che presentano le maggiori criticità:
-          L’individuazione dell’appalto c.d. “genuino”;
-          Il regime di solidarietà passiva operante tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori.

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L’individuazione dell’appalto c.d. “genuino”
Con il D.Lgs. 276/2003 la L. 1369/1960 (che già disciplinava l’argomento) è stata abrogata permanendo, nel sistema attuale, il divieto di interposizione ma eliminandone la precedente presunzione assoluta. L’imprenditore, oggi, è libero di appaltare a terzi l’esecuzione di opere o servizi anche interni al proprio ciclo produttivo, purché si tratti di un appalto vero e non di mere prestazioni di lavoro.
L’imprenditore, pertanto, ha di fronte a sé diverse possibilità:
-   eseguire direttamente il servizio con proprio personale;
-   eseguire il servizio utilizzando personale somministrato da apposite agenzie (quando consentito);
-   affidare il compimento del servizio ad un terzo, lavoratore autonomo, che lo esegua con lavoro prevalentemente proprio;
-   appaltare il servizio ad un terzo, imprenditore, che lo esegua con propria organizzazione e a proprio rischio;
-   ricorrere alla “subfornitura industriale”.
L’appalto vero – ex art. 1655, cod. civ.[2] - denominato anche “genuino” dall’art. 84, co. 2, D.Lgs. 276/2003[3], si distingue dalla “interposizione illecita” e dalla “somministrazione di lavoro” proprio in quanto l’appaltatore non si limita a fornire personale, ma organizza i mezzi necessari e assume il rischio d’impresa (art. 29, co. 1[4] e art. 84, co. 2, D.Lgs. 276/2003 (vgs. ancora nota 3)).
Il legislatore precisa che, in determinati appalti, quelli che non richiedono un rilevante impiego di beni strumentali, il criterio discretivo legittimante può consistere nell’esercizio da parte dell’appaltatoredel (solo) potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto” (art. 29, co. 1, D.Lgs. 276/2003 (vgs. nota 4)).
Requisiti fondamentali per un regolare e corretto contratto di appalto sono dunque:
• la sussistenza del rischio di impresa[5] a carico dell’appaltatore;
• l’organizzazione dei mezzi necessari[6] (può risultare anche (in relazione all'opera o servizio) dal solo esercizio del potere direttivo negli appalti che non richiedono un rilevante impiego di beni strumentali).
Alla luce dei criteri esposti si possono tracciare delle indicazioni operative schematiche, una sorta di decalogo” che il committente dovrà seguire per contenere i rischi di riqualificazione in termini di somministrazione irregolare.
In particolare:
· Verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice:
-          Art. 26, co.1, lett. a), D.Lgs n. 81/2008;
-          Art. 55, co.5, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008;
· i lavoratori dell’appaltatore non devono sostituire per nessuna ragione i dipendenti del committente;
· i lavoratori dell’appaltatore prendono ordini soltanto dall’appaltatore, che nomina a tal fine un “responsabile del servizio”; è dunque vorato individuare un responsabile dell’appalto, scelto tra i lavoratori dell’appaltatore che operano nell’appalto, e di un omologo referente del committente. Attraverso questi soggetti devono avvenire i contatti e le comunicazioni delle due strutture organizzative rispetto all’esecuzione dell’appalto;
· se possibile operare una qualsivoglia separazione fisica all’interno dei locali tra zone in cui opera il committente e zone in cui opera l’appaltatore;
· utilizzo da parte dell’appaltatore di propri macchinari per l’esecuzione dell’appalto (evitare il separato contratto di comodato da parte del committente a favore dell’appaltatore, in quanto il contratto di appalto col contratto di comodato potrebbero risultare di fatto un’unica operazione economica con lo scopo di aggirare gli obblighi di legge);
• i lavoratori dell’appaltatore non devono essere soggetti al potere direttivo e di controllo del committente o di uno o più collaboratori di quest’ultimo, non possono essere allontanati né sanzionati dal committente né da questo retribuiti; non devono giustificare le proprie assenze al committente né a questo devono richiedere le ferie, permessi o giustificare ritardi;
• i lavoratori dell’appaltatore devono essere riconoscibili come lavoratori dell’appaltatore (apposita divisa, dotazione dei dispositivi di protezione individuale da parte dell’appaltatore, tesserino di riconoscimento[7]); nei luoghi di lavoro non devono confondersi con i lavoratori del committente: va assolutamente evitata la messa a disposizione di abbigliamento con loghi del committente; ogni lavoratore potrà accedere al lavoro solo se munito di apposito tesserino di riconoscimento (art. 5, L. 136/2010[8]). A questo proposito sarebbe consigliabile far sottoscrivere all'appaltatore una Circolare riguardante l’ampliamento dei dati da inserire nella tessera di riconoscimento da consegnare ai lavoratori occupati nell'appalto, per una loro immediata identificazione. (Allegato B)
• i medesimi lavoratori non devono essere impiegati in lavori diversi da quelli appaltati;
· provvedere alla quantificazione del prezzo dell’appalto “a corpo” e non parametrato alle ore di lavoro. Nel caso in cui ciò sia inevitabile, è necessario che nel contratto sia evidente che l’oggetto dell’appalto è un risultato (opera o servizio) ben definito ed autonomo rispetto all'attività del committente. Ciò al fine di evidenziare sia l’autonomia organizzativa sia il rischio d’impresa da parte dell’appaltatore[9].

CONTINUA....

Le parti 2°, 3° e 4° verranno pubblicate rispettivamente in data 21 maggio, 4 giugno e 11 giugno.



[1] Il presente lavoro non affronterà le problematiche relative alla sicurezza sul lavoro salvo brevi e incidentali riferimenti al D.Lgs. 81/2008;
[2] Art. 1655, C.C. “L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.”;
[3] Art. 84, co. 2, D.Lgs. 276/2003 “(…) interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell'appaltatore.”;
[4] Art. 29, co. 1, D.Lgs. 276/2003 “(…) il contratto di appalto (…) si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.”;
[5] Il “rischio di impresa” sussiste quando l’appaltatore, ex ante, non ha la certezza di percepire un’utilità economica dall’appalto intrapreso e questo per diversi fattori che potrebbero intervenire in corso di svolgimento: il corrispettivo stabilito potrebbe, ad esempio, non coprire i costi dei materiali, delle attrezzature e della manodopera in caso di eventi sopravvenuti.
Tra gli indici rivelatori della sussistenza del rischio di impresa rientrano (Min. lav., circ. 11 febbraio 2011, n. 5):
a)     l’appaltatore ha già in essere un’attività imprenditoriale che viene esercitata abitualmente;
b)     l’appaltatore opera per conto di diverse imprese;
c)     l’appaltatore viene remunerato effettivamente per il risultato finale concordato, indipendentemente dalle ore o dai giorni lavorati dai propri dipendenti;
[6] Presuppone la disponibilità da parte di un vero imprenditore delle attrezzature, dei macchinari, nonché dell’esistenza di una vera e propria organizzazione tecnico gestionale;
[7] Art. 26, co. 8, D.Lgs. 81/08 “Nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro.
[8] Art. 5, L. 136/2010 “La tessera di riconoscimento di cui all'art. 18, co. 1, lett. u), D.Lgs. 81/2008, deve contenere, oltre agli elementi ivi specificati, anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione. Nel caso di lavoratori autonomi, la tessera di riconoscimento di cui all'art. 21, co. 1, lett. c), del citato D.Lgs. 81/2008 deve contenere anche l'indicazione del committente.”;
[9] Si prescinde dalla descrizione delle eventuali sanzioni ritenendo opportuno citare solo il fatto che le sanzioni sono state depenalizzate. Si ritiene inoltre opportuno ricordare che, nei casi di appalto non genuino, i dipendenti dell’appaltatore possono chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente; le garanzie previste in capo ai lavoratori dall’art. 29, co. 2, D.Lgs. 276/2003 non sostituiscono, ma si aggiungono, all’azione generale prevista dall’art. 1676 cod. civ., l’unica esperibile dai medesimi una volta che siano decorsi due anni dalla cessazione dell’appalto; 

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